Résumé
Il Jebel Sagho è il prolungamento orientale dell'Anti-Atlante, una montagna vulcanica con mamelloni granitici, organi basaltici, caos di scisti neri, arenarie rosa... alle porte del Sahara. A perdita d'occhio, grandi spazi selvaggi e aridi. Una terra desolata fatta per il DPM solitario. E per mille miglia intorno, il silenzio è l'unico compagno. Pienezza assoluta e voglia di scendere in pista. Dalle distese piatte alle dolci colline, dai rilievi aguzzi ai canyon scoscesi: una natura pura e originale. Il carattere è forte, rustico, ma il cuore è tenero. I colori sono tenui e delicati. Ocra, rosa, marrone, viola, la cartella colori si estende in una gradazione di pastelli scintillanti, talvolta accompagnati da un calore travolgente. Eldorado nel cuore del deserto, rare sono le oasi; modeste macchie verdi nell'infinitamente grande, sono il ricordo che siamo in terra africana. Il fascino selvaggio del Sagho è dovuto alla sua eccezionale geologia: alte scogliere e picchi scoscesi, scarpate tabulari e profondi canyon in mezzo ai quali circolano carovane di cammelli e muli. Quando si arriva su questi immensi altopiani, l'orizzonte lunare è così vasto che viene voglia di andare dappertutto in una volta sola per vedere se altrove è davvero così bello! Il Sagho sorprende anche per la ricchezza delle sue luci: limpide come quelle del vicino Sahara, o talvolta in mezza tonalità, come nella vicina valle del Dades. Il Sagho è anche il Marocco degli ultimi nomadi berberi, discendenti degli antichi signori Aït Atta. In autunno, dopo aver lasciato le nevi dell'Alto Atlante, montano le loro tende di lana scura sulle pendici del jebel fino alla primavera. Non sanno né leggere né scrivere, ma sono sicuri della loro strada attraverso le montagne dell'Atlante e il deserto marocchino. Nel Sagho hanno costruito case di pietra grezza, scavato pozzi, piantato mandorli, coltivato grano, orzo e vari ortaggi. Altri costruirono mandrie di capre e pecore e carovane di cammelli. Oggi sono per lo più sedentari, seminomadi o nomadi...